Emergenza Lampedusa

Viviamo ore altamente drammatiche. Una tra le crisi più gravi e cruente della nostra storia recente. A poche miglia dalle nostre coste, si consuma una tragedia di proporzioni sconcertanti, della quale nessuno è in grado di prevedere gli esiti. L'unica cosa certa è che – comunque vada - saranno esiti devastanti. Sul piano umanitario, innanzitutto. Su quello politico ed economico, poi. Nulla sarà più come prima. Non solo in Libia, ma nell'intero bacino del Mediterraneo. Un'area che, da sempre, rappresenta uno snodo cruciale per gli equilibri geo-politici internazionali. In questa, che è una delle ore più difficili e dolorose degli ultimi sessanta anni, un minuscolo neo sulla pelle di quello che, una volta, si chiamava “Mare nostrum”, sta dando a tutti una straordinaria lezione di umanità, solidarietà e dignità. Nemmeno in un momento così difficile, la gente di Lampedusa  rinuncia, a dare concretezza ad alcuni tra i valori fondanti la sua storia: umanità, soccorso, accoglienza, ospitalità, condivisione. Un piccolo popolo di mare - che del mare conosce meraviglia e durezza, incanto e orrore, salvezza e dannazione - riesce ad anteporre a tutto, anche ai vincoli della propria povertà, il richiamo di una coscienza che impone di aprire la porta, tendere la mano e dividere il poco che c'è. Una grande lezione. Esempio e monito per tutti. L'emergenza drammatica che sconvolge il Mediterraneo e molti popoli “vicini di casa” è un problema europeo. Problema che, quindi, vincola la coscienza dell’Europa e le sue Istituzioni. Diciamolo chiaramente: spetta all'Europa individuare e dare risposte. Se non per gli imperativi morali impliciti nel concetto stesso di “UNI0Ne”, certamente per stringenti ragioni politiche, sociali, economiche, di sicurezza. Ragioni che nessuno può permettersi il lusso di sottovalutare o trascurare. Meno che meno i cinici cantori della cosiddetta “realpolitik”. Ma - così come il governo italiano non può e non deve essere lasciato solo a gestire una sfida così grande che “tocca” per primo il nostro Paese, unicamente per ragioni di prossimità geografica – è evidente che il popolo lampedusano non può continuare ad essere lasciato solo e senza mezzi ad affrontare un fenomeno epocale come le migrazioni: una tra le emergenze più gravi e pressanti del nostro presente. Né quando esso si manifesta in dimensioni che, con inquietante miopia, abbiamo imparato a considerare “fisiologiche”, né quando – come in queste ultime settimane – esso assume le caratteristiche di una patologia drammatica, che rischia di mettere a repentaglio la “salute” di interi continenti. Ciò a cui assistiamo, infatti, è solo la superficie del problema. Non possiamo non renderci conto che se non riusciamo, oggi, a curare questa prima forte “febbre”, sarà molto difficile – per non dire impossibile – immaginare, domani, di riuscire a curare la malattia, quando essa ci aggredirà con forza e virulenza inimmaginabili. L'Italia non è terra di serie B in suolo europeo. E Lampedusa non è terra di serie B in suolo italiano. E, così come i cittadini italiani sono - a pieno titolo e a tutti gli effetti - cittadini europei, i cittadini lampedusani sono - a pieno titolo e a tutti gli effetti - cittadini italiani. Ad essi, dunque, sia il governo dell'UNI0Ne, che quello italiano debbono identico rispetto, identica attenzione, identico ascolto. Ad essi entrambi devono risposte. Europa ed Italia devono mettere i lampedusani in condizione di esercitare pienamente il loro diritto di cittadinanza. Perché la cittadinanza, italiana o europea che sia, non dipende dalla grandezza numerica di una popolazione, dall'estensione o dalla dislocazione del suo territorio. E, fin quando vi sarà anche un solo metro di suolo europeo e italiano minacciato o in difficoltà, o un solo cittadino dell'UNI0Ne e del nostro Paese che reclama, inascoltato, la pienezza dei propri diritti, né l'Europa, né l'Italia potranno guardarsi allo specchio e dirsi Paesi degni di tutto ciò che questa parola, oggi, significa. Civiltà, responsabilità, generosità dei lampedusani sono sotto gli occhi di tutto il mondo. Un mondo che ci guarda e che si aspetta che l'Europa non dimentichi l'Italia e che l'Italia non dimentichi Lampedusa.   Lampedusa è molto più di un’isola. Essa, oggi, è, allo stesso tempo,  simbolo e laboratorio.   Simbolo di quella civiltà e di quei valori ai quali l’Europa non  può  rinunciare se non intende rinnegare la sua storia e la sua identità; laboratorio di storia, nel quale si sperimentano senso e significato stesso della parola politica, oltre che la sua capacità di contenere, equilibrare e armonizzare “tensioni di forze” che, domani, faranno sentire la loro spinta su tutto il continente. Ciò che, oggi, accade a Lampedusa, infatti, domani accadrà a Bruxelles,  Berlino, Parigi, Londra, fino ai confini più lontani e apparentemente tranquilli del nostro Continente. Nessuno che abbia davvero a cuore le sorti della stabilità del Mediterraneo e il futuro dell'Europa, può abbassare lo sguardo o, peggio, voltarsi dall'altra parte. Civis lampedusanus sum. E, quindi, italiano. E, dunque, europeo. E mi appello alle Istituzioni Europee perché  sostengano il Governo del nostro Paese nel fare ciò che chi ha ricevuto il mandato a governare la nave deve fare: tracciare la rotta e condurci, sani e salvi, nel porto riparato, sereno e - mi auguro -  florido del futuro.

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