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Baglioni: «In tour ConVoi nell’Italia della bellezza perduta» Federico Vacalebre Ha tolto il casco bianco indossato nella serata sanremese con Fazio ed ha iniziato il «ConVoi tour», pronto a verificare, tappa per tappa, regione dopo regione, «lo stato dei lavori nel cantiere Italia. La sua grande bellezza, il suo triste precipitare nella grande bruttezza. Il suo bisogno di una straordinaria manutenzione». Spiega così il senso del suo ennesimo giro d'Italia in concerto Claudio Baglioni . Stasera al Palamaggiò di Castelmorrone è tutto esaurito, per domani sera ci sono ancora dei biglietti, tornerai da queste parti il 15, per esibirti al PalaSele di Eboli. Quanto sono diversi i pubblici del Nord da quelli del Sud, come distingui i «campanili»? «Il pubblico è come il mare: è sempre lo stesso, eppure, ovunque vai è sempre diverso. Un mistero che non smette mai di sorprendere e affascinare, per il senso di infinito che trasmette, per quel suo andamento che ricorda i battiti del cuore e perché cambia in continuazione ed è sempre imprevedibile. Una presenza vitale, letteralmente. Per me addirittura irrinunciabile e insostituibile. Non a caso in una canzone di qualche hanno fa c'è un verso che dice: "E non vogliamo andare in Paradiso se lì non si vede il mare". È così: non posso immaginare una vita senza il "mio" mare e, quando penso al Paradiso, penso a un Oceano sublime nel quale ogni cosa è così come l'abbiamo sempre sognata». In attesa del nuovo Palapartenope, del cui progetto pure ti sei fatto promotore, Napoli non ha uno spazio adatto ad accogliere il tuo tour. Ieri era Gomorra, oggi è diventata la capitale della Terra dei Fuochi. Un tempo era Partenope, cuore della Campania Felix. Cosa significa Napoli per te? «È una delle pochissime città al mondo che, se non potessimo vederla, non riusciremmo ad immaginarla. Perché va oltre la nostra immaginazione. Per Napoli la fantasia non basta. Se esistesse un vocabolario nel quale per ogni parola viene riportata solo l'accezione più importante, alla parola fantasia troveremmo scritto "Napoli". E con fantasia intendo non una vaga astrattezza, ma il massimo della capacità creativa dell'uomo». I tuoi tour, ma in generale i tuoi progetti degli ultimi anni, hanno un carattere sempre più kolossal. Ricordi quando ti travestiti da busker per suonare in strada, senza farti riconoscere? Rimpiangi i giorni in cui non eri il divo Claudio, ma un aspirante cantautore? «Sarebbe assurdo, oltre che offensivo nei riguardi di tutto ciò che la musica mi ha dato (e mi ha dato davvero tanto), dire che rimpiango il tempo nel quale non avevo tutto questo. Non rimpiango i giorni in cui non ero Baglioni, ma solo Claudio ("agonia", per gli amici). Semmai, ripenso con nostalgia - come capita a tutti i mortali, credo - i giorni nei quali avevo 17 o 20 anni. Un po' per il modo nel quale ogni cosa prende e sorprende a quell'età, quando tutte le strade sembrano aprirsi davanti a te e tutto appare infinitamente grande. E un po' per il Paese che eravamo: più semplice, più ingenuo, molto più naïf di oggi, certo, ma anche molto più capace di amare, sperare e sorridere. Quella era un'Italia che non aveva la speranza, ma la certezza che il futuro sarebbe stato migliore del presente; questa, invece, è un'Italia che non solo è praticamente certa che il futuro "non è più quello di un volta", ma che, a volte, dubita persino che ci sarà».

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